Il coinvolgimento dei cittadini nella conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale e la creazione e gestione di un’offerta turistica adeguata alle esigenze di una domanda evoluta, e a un mercato sempre più competitivo, sono argomenti sui quali si è posta frequentemente l’attenzione, come elementi combinati di una medesima opzione strategica, finalizzata a sviluppare nel nostro paese forme di crescita economica sostenibile, diffusa e duratura.
Per elaborare una strategia, bisogna, però, conoscere gli elementi e le dinamiche in gioco e saper vedere in prospettiva. Per conoscere bisogna studiare e per vedere in prospettiva si deve essere capaci di elevare lo sguardo oltre il nostro, limitato orizzonte.
Di entrambi questi approcci sono orfane le nostre istituzioni che governano il paese tutto, nonché quelle preposte al governo della cultura e dell’industria turistica, ma, dal momento che la speranza è l’ultima a morire, non è detto che prima o poi qualcuno non possa accorgersi che si può intervenire, positivamente ed efficacemente, in tal senso.
Gli interventi di Nicola Misery sull’esperienza francese del ricorso alla micro sponsorizzazione per l’acquisto di opere che si volevano conservare presso una comunità di riferimento e gli studi e il caso applicato sulla governance delle destinazioni turistiche presentati da Silvia Ghirelli ci mostrano chiaramente e semplicemente che “volere è potere” e che se avessimo decisori politici che volessero veramente investire sulla cultura come fattore di sviluppo nazionale disporremmo di molti e diversi strumenti per realizzare tale obiettivo.
Cosa c’è, infatti, di più elementare e vincente del rendere molti individui complici di un’azione strutturata di salvataggio e recupero di un’opera d’arte, donando anche assai poco, ma associando comunque il nome di ciascuno alla riuscita dell’operazione? É questo, tra l’altro, un modo efficace di costruire un rinnovato senso di cittadinanza, di condivisione del bene comune. Iniziative di questo tipo non nascono, però, dalla semplice volontà di un conservatore museale, ma sono tessere di un mosaico composto, innanzitutto, da una legislazione fiscale chiara e semplice, in cui la donazione del singolo individuo è facilitata e incentivata in modo inequivocabile. Sfido chiunque a individuare simili caratteristiche nelle intricate, complesse e non facilmente applicabili norme che regolano le erogazioni liberali in Italia.
Qualche importante passo avanti in tal senso è rintracciabile nelle lodevoli iniziative e campagne del Fondo per l’Ambiente Italiano (FAI), che, in particolare con “i luoghi del cuore”, mobilita un numero sempre maggiore di cittadini a sostegno di un “bene comune”: il successo “popolare” di queste iniziative dovrebbe attivare l’estro creativo dei nostri politici e dei nostri amministratori pubblici, ma sembra, invece, rimanere confinato nel colore della cronaca mondana.
Sul turismo, è interessante, invece, notare come, nel caso di studio proposto, si applichi una metodologia di ricerca di matrice etnografica, osservando i comportamenti dei soggetti che giocano un ruolo nella gestione delle destinazioni turistiche di un determinato territorio e si lavori, di conseguenza in modo da comporre gli interessi contrastanti o divergenti, al fine di rafforzare il governo complessivo dell’offerta turistica a vantaggio dell’intera comunità. Anche questa può sembrare la “scoperta dell’acqua calda”, ma se prima di essere definitivamente sorpassati dai paesi emergenti anche su questo fronte scoprissimo che l’ombra del campanile oscura un’area ben più vasta delle sue dimensioni fisiche, e decidessimo di valorizzare il sole che brilla sui comuni contigui, avremmo superato un gradino evolutivo etologicamente significativo.
In fondo in entrambi gli ambiti (micro-sponsorizzazione e destination governance) la soluzione ai problemi posti risiede nella formula di un dialogo tra soggetti che vengono aiutati ad incontrarsi e a scambiare qualcosa, per trarne un reciproco vantaggio: forse dovremmo vedere un po’ meno talk show televisivi (prevalentemente caratterizzati da protagonisti prevaricanti) e applicarci sin dalla più tenera età al sano esercizio di una dialettica vera, sul modello delle scuole di retorica di un tempo, per ritrovare, oltre a noi stessi, il piacere di saper argomentare le nostre convinzioni, ascoltare gli altri e individuare insieme i percorsi più efficaci verso un benessere realmente condiviso.