Negli ultimi due decenni nel contesto degli studi sulla città, il concetto di riqualificazione urbana si è posto al centro di un dibattito che ha saputo catalizzare l’attenzione di un’eterogenea comunità scientifica. Le grandi trasformazioni che hanno investito le società occidentali nel corso del Novecento – l’industrializzazione e l’esodo dalle campagne, la successiva deindustrializzazione e la terziarizzazione dell’economia – si sono spesso lasciate alle spalle la necessità di ridisegnare l’assetto e l’economia di molti centri urbani, recentemente trovatisi a fronteggiare una fase di declino e una sostanziale perdita d’identità.
In molti dei centri che nella fase precedente costituivano punti nodali della produzione e grandi bacini per l’occupazione operaia si è posta la necessità di lavorare sulla riqualificazione, così da stimolare un’efficace riconversione economica e sociale. Al fianco della sostenibilità ambientale, della vocazione all’innovazione e dell’attenzione alle attività terziarie e alle imprese creative, i pianificatori hanno riscoperto le potenzialità della cultura quale strumento per migliorare la qualità di vita delle comunità e competere sull’arena globale. Si è assistito, e si sta assistendo, a un cambiamento di approccio nei confronti delle attività culturali che, oltre a essere considerate un veicolo per l’educazione e l’arricchimento personale, vengono ora studiate strategicamente quale volano per lo sviluppo economico, sociale e occupazionale di un territorio.
Una delle più celebri definizioni di riqualificazione urbana è quella fornita da Evans e Shaw nel 2004, che presenta tale processo come la trasformazione di un luogo residenziale, spaziale o pubblico, che presenti sintomi di declino ambientale, sociale o economico, ossia la rivitalizzazione di comunità, industrie o territori attraverso miglioramenti sostenibili e di lungo periodo della qualità della vita locale in termini economici, sociali e ambientali. In altre parole, secondo Pier Luigi Sacco e Roberta Comunian, stiamo assistendo all’affermazione di una nuova concezione di urbanesimo, centrata sulla diversificazione degli stili di vita e sulla qualità e varietà dei servizi e delle strutture che la città post-industriale è in grado di offrire(1).
Negli ultimi vent’anni diverse esperienze internazionali si sono offerte ai pianificatori come casi di studio e da esse è stato possibile apprendere molto sui requisiti indispensabili per la sostenibilità dei programmi. E’ emerso con forza, innanzitutto, come la pianificazione non possa prescindere dallo studio delle specificità della società di riferimento e dal coinvolgimento della comunità locale: il successo di molti programmi, infatti, è stato decretato dalla capacità degli operatori di stimolare la fiducia nelle operazioni intraprese e dalla scelta della popolazione di accettare i contenuti veicolati come parte dell’identità collettiva(2).
La centralità dell’audience e la considerazione delle specificità locali sono requisiti fondamentali anche secondo Griffiths, il quale delinea tre modelli secondo cui concepire la cultura nei processi di rigenerazione. Il primo guarda alla cultura quale strumento strategico per rivitalizzare la vita sociale della città e creare spazi inclusivi, interpretando il concetto nel suo senso antropologico, quale rete di pratiche significative per la comunità locale. Segue, poi, un modello che pone al centro le industrie culturali della città, sottolineando la capacità del settore di generare reddito e creare forme di benessere, mentre, infine, l’ultimo modello si caratterizza per la promozione della città e del consumo culturale della città: la cultura viene intesa come un mezzo per attrarre turisti e per creare un impatto economico, attraverso le sinergie con i poli commerciali e con la vita notturna.
L’audience – intendendo con tale termine i destinatari dell’intervento, il target spaziale di miglioramento, l’equilibrio fra promozione e consumo dell’iniziativa e la scelta fra beni e attività culturali – costituisce il principale dilemma con cui confrontarsi nella pianificazione dell’intervento. La creazione e l’efficacia della strategia culturale nella rigenerazione urbana dipende dal modo in cui questo viene identificato e risolto(3).
Lo stesso Frank Moulaert nel 2004 ha evidenziato come l’adozione di una prospettiva sull’arte e la cultura radicata socialmente permetta di enfatizzare le potenzialità comunicative della sfera culturale, di farne una risorsa community-centered e di servirsene come mezzo di pianificazione partecipata, come legame di identificazione fra l’individuo e la comunità e come forma di rivitalizzazione sociale ed economica.
Le esperienze internazionali ci insegnano che, affinché i programmi di riqualificazione urbana possano ottenere risultati significativi e duraturi, è fondamentale lavorare sul coinvolgimento della popolazione e stimolare la sua fiducia nei progetti intrapresi. Ecco che, nei programmi di intervento, lo studio della realtà locale e l’implementazione di strumenti tramite cui ricevere feedback da parte della comunità divengono operazioni fondamentali. Prescindere dall’indagare e monitorare dimensioni chiave come la qualità di vita percepita sul territorio e le aspettative e gli atteggiamenti della popolazione nei confronti delle scelte intraprese non può che minare l’efficienza e l’efficacia delle azioni progettuali.
E’ muovendo da questa consapevolezza e da un forte interesse per il caso di studio della Terraferma veneziana che si è deciso di condurre un’indagine pilota su un campione di duecentoquattro soggetti residenti nel Comune di Venezia e nei territori limitrofi. Lo studio, complessivamente, ha esplorato il fenomeno della riqualificazione urbana a matrice culturale e le dinamiche intercorse sul territorio della Terraferma negli ultimi decenni. L’analisi condotta ha indagato principalmente tre dimensioni: la qualità di vita percepita sul territorio, la percezione delle trasformazioni avviate dall’amministrazione e dai principali attori privati negli ultimi dieci anni e la conoscenza e le aspettative in merito al progetto M9 della Fondazione di Venezia. Si è proceduto con l’elaborazione di un questionario a sedici items e con la sua distribuzione attraverso il web e di persona, potendo contare sulla collaborazione di diverse realtà attive sul territorio, dalla Fondazione di Venezia all’Associazione Italiana per l’Educazione Demografica.
Oggi ricomprese sotto la denominazione di Terraferma veneziana sono le quattro municipalità non insulari del capoluogo lagunare: Mestre centro, Marghera, Favaro Veneto e Chirignago Zelarino. L’annessione di questi territori alla città di Venezia risale all’inizio del Novecento, periodo in cui gli interessi espansivi del capoluogo iniziarono a rendersi manifesti. Le peculiarità della sua conformazione urbana la rendevano infatti incapace di sviluppare una propria compiuta area industriale e, nel contesto di inizio secolo, si vide nell’espansione in terraferma la soluzione necessaria per consentire la crescita della città lagunare e l’impiego della sua manodopera. Fu così che dal 1917 iniziarono una serie di annessioni, motivate dalla volontà di sviluppare l’operazione che culminò con la nascita del porto industriale di Marghera.
Tutto il Novecento fu caratterizzato da un’importante crescita demografica, che divenne vertiginosa a partire dagli anni Sessanta, quando agli effetti delle politiche abitative e del lavoro si aggiunse il fenomeno di emigrazione dal centro storico. Da piccolo centro degli anni venti, con meno di 50.000 abitanti, la Terraferma toccò i 100.000 residenti nei primi anni cinquanta e raggiunse l’apice nel 1975, con oltre 210mila abitanti. Un ruolo chiave in questo processo venne giocato dallo sviluppo della grande industria, che negli anni Settanta visse la fase di massima occupazione.
Il Dopoguerra fu protagonista di uno sviluppo urbanistico incredibilmente rapido e disordinato. Intere aree della città vennero stravolte o demolite, la trasformazione fuori controllo rese irriconoscibili i luoghi centrali della Terraferma, distruggendo edifici, resti storici, monumenti e simboli cittadini.
Benché negli anni Novanta e nei primi anni Duemila vi sia stato un sensibile calo dei residenti, la conurbazione mestrina contribuisce ancora fortemente a fare del comune di Venezia il primo del Veneto e l’undicesimo in Italia per popolazione. L’amministrazione pubblica e i grandi attori privati attivi sul territorio si sono impegnati negli ultimi vent’anni in un complesso intervento di rigenerazione, volto a riqualificare la Terraferma dal punto di vista ambientale, architettonico e culturale. Fra i diversi programmi avviati, vi è quello di costituire un distretto culturale nel centro di Mestre, andando a valorizzare le istituzioni culturali storiche e investendo nella realizzazione di nuove strutture all’avanguardia.
Uno dei soggetti maggiormente attivi in questo programma è la Fondazione di Venezia, la quale ha avviato la realizzazione di un polo culturale multifunzionale, con l’obbiettivo di dotare il territorio di un centro di produzione e fruizione all’avanguardia e di uno spazio dal forte valore simbolico e identitario. M9, la nuova cattedrale del contemporaneo, ospiterà il Museo del Novecento di Mestre, dedicato alle grandi trasformazioni sociali, economiche, urbanistiche e culturali del XX secolo, un centro espositivo che progetterà mostre, incontri e attività legate ai nuovi media e alle imprese creative, un auditorium e la mediateca-archivio del ‘900. La Fondazione, inoltre, ha più volte espresso la volontà di condurre una progettazione partecipata, coinvolgendo la cittadinanza nelle diverse fasi e pensando un centro culturale che trovi nella comunità locale il suo primo target e interlocutore.
Lo studio, partendo dall’analisi di una serie di documenti ufficiali, messi a disposizione dagli uffici del Comune di Venezia, dal COSES, e dai grandi privati attivi sul territorio, come la Fondazione Gianni Pellicani e la Fondazione di Venezia, ha voluto poi rivolgere l’attenzione alla comunità locale, indagando dal basso la percezione di una serie di fenomeni. Dall’impatto degli investimenti intrapresi all’immagine del territorio agli occhi dei residenti, dall’informazione diffusa sul centro culturale di prossima costruzione alle considerazioni in merito all’operazione stessa, l’indagine ha voluto offrire un primo autentico spaccato della realtà di riferimento, così come percepita da chi, di giorno in giorno, la vive in prima persona.
Sulla base di un’analisi della letteratura e un confronto con diverse indagini condotte recentemente in Italia e in Europa(4), il concetto di qualità di vita è stato scomposto in una serie di dimensioni e fattori determinanti. Territorio e mobilità, sfera sociale, economia, sanità, sicurezza, cultura, istruzione e tempo e libero: si è cercato di rendere operativo il concetto individuando le sue principali articolazioni e procedendo poi nella scomposizione di ognuna di queste in una serie di fattori rilevanti, dalla percezione della qualità urbana all’integrazione delle comunità straniere nella vita cittadina, dalla qualità dei servizi e delle strutture sanitarie alla percezione individuale della sicurezza.
Gli stessi fattori chiave individuati per esplorare questa prima dimensione, sono poi stati ripresi e indagati su un orizzonte decennale, per analizzare la percezione delle trasformazioni in corso. Per ogni voce è stato richiesto prima di esprimere un giudizio di valore e, in seguito, un’opinione in termini di miglioramento, peggioramento o stabilità, con la precisa volontà di indagare la componente soggettiva della qualità di vita, legata alla percezione individuale del contesto.
Come si è anticipato precedentemente, la distribuzione è avvenuta tramite web e moduli cartacei e ha coinvolto soggetti che per residenza o per motivi di studio, lavoro e vita privata hanno una buona conoscenza del territorio. Volendo sintetizzare i dati raccolti, i settori che sono emersi come più problematici per il campione di riferimento sono: l’occupazione (Grafico 1) – la possibilità di trovare lavoro ha raccolto il 79% di giudizi negativi, con una netta prevalenza del valore “Scarso e Pessimo”; la qualità architettonica e l’arredo urbano, con il 64% di risposte nelle medesime sfere; il sistema di trasporto pubblico, con il 61% di giudizi non positivi; l’integrazione delle comunità straniere nella vita cittadina e la sicurezza, che hanno totalizzato rispettivamente il 60% e il 59% di valutazioni negative.
Grafico 1. Qualità di vita percepita: valutazione sulla possibilità di trovare lavoro
A registrare le valutazioni migliori sono state invece le sfere dell’istruzione (Grafico 2), delle attività sportive e della sanità: il 59% dei rispondenti ha classificato come “Buona o Ottima” la presenza e l’accessibilità degli istituti scolastici e di formazione e il 51% rispettivamente la presenza e l’accessibilità di infrastrutture sportive e i servizi e le strutture sanitarie.
Grafico 2. Qualità di vita: valutazione sulla presenza e l’accessibilità degli istituti scolastici e di formazione
L’attuale congiuntura economica sembra colpire più le imprese che la popolazione e il proprio nucleo familiare – la situazione del sistema produttivo è stata infatti classificata come “Negativa” dal 67% dei rispondenti – e il problema dell’inquinamento ambientale viene avvertito con particolare forza, soprattutto a livello atmosferico – l’86% dei rispondenti ha definito il fenomeno “Molto o Abbastanza grave” – e acquatico – 83% di risposte per le stesse categorie -, con una concentrazione massima di giudizi negativi fra i residenti di Marghera (94%).
Per quanto riguarda la percezione del processo di trasformazione avviato, il settore che ha registrato la maggioranza di pareri positivi è quello delle aree verdi, per il quale il 39% dei rispondenti ha riscontrato un miglioramento. Fra le sfere in cui il numero maggiore dei soggetti ha invece espresso un giudizio in termini di peggioramento vi sono la possibilità di trovare lavoro (68%), il sistema di trasporto pubblico (42%) e la sicurezza (36%).
L’ultima parte dell’indagine, come illustrato precedentemente, si rivolgeva a esplorare le conoscenze e le aspettative del campione in relazione al progetto M9. I dati raccolti evidenziano la forte necessità di potenziare la comunicazione e di articolarla secondo diversi canali, così da raggiungere target differenziati. Infatti, il 57% dei rispondenti si è definito totalmente non informato sul progetto (Grafico 3), il 63% ha affermato di non conoscere la tipologia di museo che verrà aperto sul territorio e il 65% ignora le strutture e i servizi che saranno resi disponibili. Per un investimento che trova nella comunità locale di riferimento il proprio target principale, questi risultati non possono dirsi soddisfacenti.
Grafico 3. Conoscenze sulla realizzazione e l’apertura di un nuovo museo a Mestre
Per quanto riguarda le considerazioni in merito all’operazione complessiva, il 46% dei soggetti ritiene che l’apertura del nuovo polo culturale potrà incidere positivamente sulla qualità di vita della popolazione residente (Grafico 4), l’87% che porterà dei benefici d’immagine per la Terraferma (Grafico 5) e il 77% che condizionerà positivamente la partecipazione locale.
Grafico 4. Capacità del nuovo museo di incidere sulla qualità di vita dei residenti della Terraferma
Grafico 5. Capacità del nuovo museo di incidere sull’immagine del territorio di Terraferma
Per quanto il campione indagato non possa dirsi rappresentativo della popolazione del comune, i dati raccolti offrono uno spaccato della posizione attuale di un ampio gruppo di persone che vivono il territorio, sondandone la predisposizione generale al progetto. L’indagine pilota qui presentata si è posta obbiettivi sostanzialmente esplorativi, quello a cui ambiva era fornire un’immagine attuale e sufficientemente dettagliata dei giudizi, delle considerazioni e delle conoscenze diffuse presso un gruppo di soggetti legati al territorio della Terraferma. Sarebbe sicuramente interessante approfondire attraverso un secondo studio molti degli aspetti emersi, questa volta ricorrendo a un campione più ampio e rappresentativo della popolazione del Comune di Venezia. Il merito di questo primo approccio, però, può essere proprio quello di aver portato l’attenzione su un caso di studio estremamente complesso, nonché rappresentativo della condizione di molte città europee di medie dimensioni, colpite da processi di deindustrializzazione e terziarizzazione dell’economia.
Il programma che l’amministrazione pubblica e i grandi attori privati vogliono attuare sul territorio della Terraferma è molto ambizioso e richiede, al di là di un idoneo coinvolgimento della comunità, una visione strategica di lungo periodo e un’azione quanto più sistematica. Nel futuro assetto metropolitano questo territorio vedrà accrescere la propria importanza quale centro direzionale e dei servizi e quale importante nodo di una rete diffusa, che sarà fondamentale sviluppare per la futura competitività del Nordest nell’arena europea e mondiale.
Le recenti scelte operate dagli enti locali e dai grandi privati, come la Fondazione di Venezia, segnano già una svolta importante: il valore strategico della cultura nel processo di rigenerazione urbana è oggi riconosciuto anche in Italia e, nello specifico del territorio indagato, si stanno concretizzando i primi investimenti. Le modalità con cui i progetti avviati saranno sviluppati e portati avanti nel futuro sono in gran parte, però, ancora da scrivere e proprio da queste dipenderà il successo della trasformazione.
Note
(1) Sacco e Comunian, NewcastleGateshead: riqualificazione urbana e limiti della città creativa, 2006.
(2) Si pensi ai casi di Bilbao e Barcellona, presentati nel volume The Art of City making di Charles Landry, e al caso di NewcastleGateshead, efficacemente descritto in Sacco e Comunian, NewcastleGateshead: riqualificazione urbana e limiti della città creativa, 2006.
(3) Griffiths, 1995, su Bianchini, 1993.
(4) Fra gli studi esaminati vi sono Vivere Roma – Un’indagine sulla qualità della vita percepita dai cittadini romani, Comune di Roma, 2001; I cittadini toscani, l’ambiente e il territorio, Regione Toscana, 2009; Qualità dell’ambiente percepita e qualità rilevata, Vittorio Martinelli, Vittorio Boraldi e all, 2009.
Bibliografia
C. Landry (2006), The Art of City making, Earthscan publications
F. Bianchini (1993), “Culture, conflict and cities: issues and prospects for the 1990s”, in F. Bianchini e M. Parkinson (a cura di) Cultural Policy and Regeneration: The West European Experience, Manchester University Press Manchester
Fondazione di Venezia (2011), M9 – Il progetto culturale
G. Evans e P. Shaw (2004), The Contribution of Culture to Regeneration in UK: a Review of Evidence, A Report to DCMS, LondonMet
P. Sacco e R. (2006) Comunian, NewcastleGateshead: riqualificazione urbana e limiti della città creativa, Università IUAV di Venezia
R. Griffiths (1995), «Cultural strategies and new modes of urban intervention », Cities, Vol. 12, n. 4