1. Introduzione
Cultura e industria formano un binomio sempre più inscindibile. La compenetrazione tra questi due mondi, infatti, sta diventando fondamentale nella prospettiva di una crescita economica sostenibile.
La cultura è un’industria che sta assumendo un peso crescente nelle economie contemporanee. Negli ultimi anni, l’attenzione degli studiosi e delle istituzioni si è fatta sempre maggiore, con un crescendo di iniziative volte a sottolineare l’importanza della cultura per lo sviluppo del territorio.
Da queste premesse si è giunti alla realizzazione del primo Forum mondiale dedicato all’industria culturale, organizzato dall’Unesco (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura). All’Italia è spettato l’onore di ospitare l’incontro – dal 24 al 26 settembre scorso – nella cornice di Villa Reale a Monza, dove i delegati dei 192 Paesi aderenti all’Unesco, oltre a diverse personalità di spicco del mondo industriale ed economico, hanno discusso di cultura ed industrie culturali, focalizzando l’attenzione in particolare su artigianato, design e moda.
Si è trattato di una vera e propria Davos della cultura. Come a Davos, da anni, i maggiori economisti ed accademici discutono sullo sviluppo economico, così a Monza ci si è confrontati sul valore della cultura per il progresso sociale ed economico.
In questo articolo si analizzeranno le principali motivazioni che hanno portato al Forum Unesco, approfondendo le ragioni dell’avvicinamento tra economia e cultura e presentando alcuni dati sulle industrie culturali. Verranno quindi presi in esame i temi del Forum, inserendoli in una prospettiva di crescita sostenibile per il nostro Paese.
2. La cultura conta
Dal 24 al 26 settembre scorso Monza è stata la capitale mondiale della cultura e dell’industria. Villa Reale ha ospitato il primo Forum internazionale (promosso dall’Unesco) dedicato all’industria, in particolare quella manifatturiera e artigiana che, oltre a rappresentare un pilastro dell’economia, ha saputo creare cultura.
E’ opportuno interrogarsi sul significato di questo incontro, chiedendosi come mai si parli del binomio cultura-industria come strumento di rilancio dell’economia. Nel dibattito sul sentiero di uscita dalla crisi, infatti, è emersa da più parti la necessità di un impegno globale sulla cultura.
Il rafforzamento delle relazioni fra cultura ed economia è dovuto a diversi fattori. In primo luogo, lo sviluppo delle attività innovative e di ricerca, la dominanza dei servizi e il rilievo riconosciuto alle componenti immateriali e al valore simbolico dei beni industriali (Rullani, 2004) testimoniano la crescita del contenuto di conoscenza nella produzione. Tale processo si accompagna alla crescita del ruolo del capitale umano e al correlato innalzamento dei livelli di istruzione della popolazione, che influenzano chiaramente la domanda di cultura.
Un secondo fattore è rappresentato dall’effetto reddito che deriva dalla crescita di produttività dei beni industriali e, di conseguenza, dalla riduzione dei loro prezzi relativi. Questa riduzione è il risultato sia dei processi di innovazione tecnologica che hanno caratterizzato lo sviluppo industriale, sia della crescente apertura internazionale delle economie moderne. Gli effetti di tali processi generano benefici anche sulla domanda dei beni e servizi non industriali, in quanto l’aumento del reddito reale viene riallocato in un paniere di consumo più ampio, che comprende anche beni che non hanno manifestato lo stesso incremento di produttività.
Una terza ragione si riferisce alla natura idiosincratica della cultura. In quanto elemento costitutivo di una data comunità e ambito di produzione di specifici significati identitari, la domanda di cultura si rafforza come conseguenza della globalizzazione. Più di qualsiasi altro processo di trasformazione industriale, il processo di produzione culturale è, per sua natura, espressione di un contesto storico e geografico specifico.
Ma mentre lo sviluppo tecnologico e la riduzione dei costi di transazione internazionale stanno accrescendo i potenziali di de-localizzazione delle attività manifatturiere, per la cultura vale invece il contrario. L’attività culturale si collega, infatti, alle fasi creative della produzione industriale, cioè ai processi generativi di nuova conoscenza che si manifestano nelle attività di ricerca, di design, nella comunicazione e nell’interazione con gli utilizzatori. In tali funzioni, che risultano oggi decisive per governare i processi dell’innovazione, le economie di localizzazione continuano a svolgere un ruolo fondamentale (Audretsch et al., 2006; Asheim, Gertler, 2005; Corò, Micelli, 2006).
E’ stato poi fondamentale, negli ultimi anni, il crescente interesse del mondo accademico per la cultura. A conferma di ciò, numerosi studiosi (Benhamou, 2004; Sacco, Pedrini, 2003; Sacco, Tavano Blessi, 2005; Santagata, 2000, 2001, 2007; Throsby, 2001) hanno messo in evidenza come la cultura sia importante non solamente in quanto costituisce un fondamentale valore di civiltà, ma anche perché rappresenta, a tutti gli effetti, una risorsa fondamentale per una crescita economica sostenibile.
Nell’ultimo periodo, ricerche e statistiche hanno quantificato la rilevanza del settore culturale nelle economie contemporanee, contribuendo in maniera decisiva a dare una misura del valore economico della cultura. D’altro canto, la cultura, in termini economici, conta. A tal proposito si possono citare alcuni numeri: il “Rapporto Jàn Figel” (KEA, 2006) segnala che nel 2003 il settore culturale e creativo nell’UE25 ha generato un giro d’affari di 636 miliardi di euro (il 6,4% del Pil UE), superiore a quello dell’industria ICT e più che doppio rispetto all’industria dell’automobile; Eurostat (2007) precisa che nell’UE27 nel 2005 lavoravano nel settore culturale quasi 5 milioni di persone, pari al 2,4% dell’occupazione totale, un valore superiore al settore del tessile-abbigliamento; il Quinto Rapporto di Federculture (2008) indica la forte crescita dei consumi culturali in Italia tra 1997 e 2007 (su tutti il teatro: +23,5%); Pricewaterhouse Coopers (2009) stima che il contributo, in termini di valore aggiunto, del settore culturale, creativo e turistico al Pil italiano nel 2008 sia stato dell’11,8%, un valore non distante da quello di industria e servizi.
3. La Davos della cultura
Il Forum Unesco è stato organizzato allo scopo di riunire insieme tutti gli attori coinvolti nelle industrie culturali (esponenti istituzionali, artisti, esperti, attori pubblici e privati) per discutere il ruolo che la cultura riveste all’interno delle politiche di sviluppo, focalizzando l’attenzione, in particolare, su artigianato, design e moda. Tre giorni di incontri e discussioni a testimonianza dell’ascesa del ruolo svolto dalle industrie culturali e creative: l’Unesco stesso ha ribadito che non si tratta di un settore di importanza secondaria, quanto piuttosto di una componente chiave dell’economia, una fonte di occupazione, reddito, sviluppo e prestigio internazionale. Il dinamismo e le potenzialità del settore culturale, tuttavia, non si misurano solamente in relazione al contributo apportato al Pil, ma anche sulla base della capacità di esercitare un ruolo fondamentale nella trasformazione della società.
“Creatività, innovazione ed eccellenza: dall’artigianato alle industrie del design e della moda”: questo era il titolo ufficiale del Forum. D’altro canto, come abbiamo ricordato in precedenza, la natura idiosincratica della cultura assume un particolare rilievo proprio nelle produzioni di maggiore qualità del Made in Italy – capi di alta moda, artigianato artistico, prodotti eno-gastronomici tipici – come di altri “beni di esperienza” (Pine, Gilmore, 2000). In particolare, infatti, design e moda si pongono in un continuum tra identità, tradizione e modernità.
Durante la cerimonia di apertura del Forum, il ministro dei Beni e delle Attività Culturali Sandro Bondi ha sottolineato come nell’ultimo periodo sia cresciuta la consapevolezza del legame virtuoso che può instaurarsi tra cultura ed economia. Il Forum Unesco rappresenta quindi una logica conseguenza. Il ministro Bondi, nel suo discorso inaugurale, chiarisce fin da subito un importante concetto: non si vive di sola tutela del patrimonio culturale esistente. In tale prospettiva è fondamentale il richiamo a Santagata (2007): come un’attività è redditizia quando i ricavi superano i costi, così un Paese è culturalmente redditizio quando la produzione di cultura supera la conservazione.
I lavori della seconda giornata hanno trattato due temi ugualmente fondamentali: da un lato il trasferimento del know-how come condizione per l’innovazione e la crescita, dall’altro il ruolo chiave della donna nell’artigianato e nello sviluppo, approfondendone le esperienze individuali e l’accesso ai ruoli decisionali nelle imprese culturali.
Il know-how riferito ai cosiddetti “mestieri d’arte”, collegati all’artigianato, al design e alla moda, rappresenta una fondamentale risorsa in un momento di difficoltà dell’economia mondiale, quale è quello attuale. Citando le parole del ministro Bondi, la componente creativa che sta alla base del design è tipica delle produzioni delle economie post-industriali, in cui la qualità e l’unicità del prodotto costituiscono variabili fondamentali su cui misurare il grado di competitività sui mercati internazionali, al pari della tecnologia e del prezzo. La moda, a sua volta, è un fenomeno complesso che si situa alla congiunzione di due sistemi: quello del bisogno materiale del consumo e della produzione, e quello immateriale della creatività.
In questo contesto, il contributo delle tecnologie alla creatività (tema di uno dei workshop) è chiaramente decisivo. Le nuove tecnologie applicate ai beni culturali incidono direttamente sulla loro valorizzazione: da un lato possono migliorarne la conservazione, monitorando le trasformazioni dovute al degrado o indotte dall’uomo, dall’altro ne facilitano la fruizione. Le tecnologie, in questa seconda prospettiva, chiamano lo spettatore ad a un ruolo attivo, partecipativo, invitandolo a diventare co-protagonista di un sistema che amplifica e sfrutta le sue potenzialità cognitive e sensoriali. In questo modo emerge la dimensione interiore e personale, per cui l’opera stessa – il bene culturale in generale – diviene un’esperienza unica ed irripetibile: più che un dato rappresentato, si configura come un contenitore “dentro” cui lo spettatore viene coinvolto. La memoria rappresentata dal nostro patrimonio si confronta così con le nuove tecnologie. La relazione che si crea trasforma radicalmente questi luoghi, che diventano “luoghi irriproducibili”, in cui è unica l’esperienza avuta e il contenuto comunicato, in quanto vissuta in prima persona interagendo con il bene culturale.
I musei stessi, spesso intesi come luoghi della memoria, possono così trasformarsi in momenti esperenziali unici, partecipativi ed interattivi, che trattano contemporaneamente di passato e di futuro, perché la cultura della memoria vive nel presente.
4. La cultura volano della ripresa economica
Il Forum Unesco rende esplicita una posizione ormai ampiamente diffusa: la cultura può diventare il volano della ripresa economica.
Il Direttore Generale dell’Unesco Koichiro Matsuura ha infatti sottolineato che la globalizzazione non rappresenta una minaccia, quanto piuttosto uno stimolo per la creatività e la diversità culturale. Nel rispetto delle differenze tra le culture, la globalizzazione può essere al servizio dello sviluppo sostenibile: questo però dipende dalle possibilità di accesso all’educazione, dal livello di partecipazione femminile, dal grado di integrazione tra nord e sud del Mondo. La coesione sociale è quindi uno dei presupposti fondamentali a partire dai quali la cultura può fungere da volano di sviluppo.
In conclusione del Forum il Ministro degli Affari Esteri Franco Frattini ha voluto precisare come la sfida della ripresa si possa vincere sintetizzando cultura, creatività ed innovazione. Da un lato la cultura come strumento di crescita e di sviluppo, dall’altro l’industria culturale come motore di progresso economico – per dirla con le parole di Frattini – costituiscono la sintesi tra cultura e impresa che da sempre è la base del Made in Italy. Cultura e industrie culturali sono poi, come è noto, strettamente connesse con il turismo, altro settore chiave per la ripresa. Senza trascurare i proficui legami tra la cultura ed il settore agroalimentare, in particolare il comparto più legato ai prodotti tipici, chiara espressione delle diverse identità culturali territoriali, nonché delle tradizioni regionali e locali.
Il superamento della crisi economica passa anche attraverso il sostegno alle industrie culturali, in virtù del loro contributo all’economia, ma anche in una prospettiva di valorizzazione delle diversità culturali come elemento di ricchezza sociale. Le industrie culturali, con le loro componenti creative ed innovative, sono veicolo di identità, valori e significati per l’intero Paese.
D’altra parte la cultura, come abbiamo segnalato in precedenza, rappresenta un vero e proprio business: il suo contributo alle economie moderne è rilevante ed in crescita. Tuttavia, è opportuno precisare che l’apporto della cultura al benessere sociale non si esprime solo nei nuovi equilibri di domanda e offerta, ma anche nell’orientare la società verso nuovi modelli di uso del tempo e delle risorse. Infatti, per un’economia sempre più basata sulla conoscenza, la cultura costituisce una risorsa collettiva che contribuisce ad alimentare la creatività, a stimolare l’innovazione e ad accrescere la qualità del capitale umano. Di queste fondamentali esternalità beneficiano molti settori dell’economia, in particolare quelli a più elevata intensità di conoscenza sui quali sempre più si basa la competitività delle economie moderne.
5. Conclusioni
Il Forum Unesco ha confermato che la cultura, anche in termini occupazionali, può rappresentare una delle vie d’uscita dalla crisi che stiamo attraversando. In particolare per il nostro Paese, in virtù del suo immenso patrimonio artistico-culturale (l’Italia è al vertice della World Heritage List dell’Unesco, che misura il numero di siti culturali di rilevante interesse internazionale), ci sono enormi potenzialità da questo punto di vista.
Deve però esserci una strategia, un progetto ed un orizzonte di riferimento. Un esempio a cui ispirarsi potrebbe essere la cultural strategy britannica: un progetto a medio termine (3-5 anni) che mira a creare condizioni di crescita locale attraverso la promozione di iniziative culturali ispirate da una visione condivisa di sviluppo e basate sul coinvolgimento della popolazione. Ad essa, poi, andrebbe collegato un insieme di politiche fortemente orientate alla promozione della creatività (giovanile e non), elemento ancor più fondamentale in una situazione di crisi e di cambiamento dei rapporti di forza a livello mondiale.
Nel 2019 l’Italia ha l’opportunità di far diventare una propria città Capitale Europea della Cultura. Questi dieci anni che ci separano dall’evento, allora, dovrebbero servire al nostro Paese per mettere in atto un vero e proprio confronto sui vari modelli di sviluppo culturale che le nostre città e i nostri territori possono adottare. Una sana competizione tra le diverse località potrebbe favorire la specializzazione e l’innovazione dei territori stessi.
Il rischio che si corre, altrimenti, è quello di “non programmare” la cultura del prossimo decennio, perdendo così un’importante occasione di rilancio per il Paese.
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