Digital transformation in museums: Exploring social media and RFID applications – Nuove tecnologie per nuovi musei. Dai social network alle soluzioni RFID

A museum can only fulfill its purpose if it effectively communicates the knowledge it has accumulated about its historical and artistic collections. Information technologies, particularly social media and RFID, have revolutionized museum communication. This paper explores the potential of RFID technology and examines some innovative applications in the museum sector.

1. Introduzione

Il museo vive per comunicare. O, meglio, vive se comunica in modo efficace l’insieme delle conoscenze che ha prodotto nel tempo, relativamente alle testimonianze storiche ed artistiche che compongono le sue collezioni. Ciò in quanto la sua funzione primaria, secondo quanto sancito a livello internazionale dalla comunità scientifica e dagli operatori del settore, è quella di contribuire alla crescita culturale della società. La comunicazione, dunque, si pone quale azione strumentale alle attività di generazione e diffusione delle conoscenze svolte a favore del proprio pubblico, presente presso il museo o in rete.
Le tecnologie informatiche, sotto questo profilo, hanno fornito un grande impulso alle attività di comunicazione del museo, offrendo un’ampia varietà di canali attraverso cui veicolare i propri flussi informativi: negli ultimi anni, infatti, si sono moltiplicate le soluzioni tecnologiche in grado di migliorare il livello e la qualità dell’interazione che viene a prodursi sia all’interno delle sale del museo, durante lo svolgimento del processo di fruizione diretta da parte del visitatore, sia al di là dei suoi confini fisici, grazie alla presenza in rete del museo. In altre occasioni si è avuto modo di sottolineare come internet abbia contribuito a modificare la natura dei flussi di comunicazione dei musei che, soprattutto grazie ai blog ovvero ai siti di social network (youtube, flickr, myspace, facebook, per ricordare unicamente quelli più popolari), sono diventati “multi-polari”: infatti, da una comunicazione one-to-many, cioè sostanzialmente uni-direzionale e tipica dei siti museali di tipo tradizionale, si è passati ad una comunicazione many-to-many in cui, nel gioco di rimandi reciproci tra le domande poste e le risposte formulate, sfuma progressivamente una chiara distinzione tra mittente e destinatario [Solima, 2008a; Solima 2008b].
L’utente in rete, dunque, diventa esso stesso un potenziale protagonista della comunicazione museale, risultando in grado di emanciparsi dal ruolo di spettatore passivo e di affermare la propria individualità, offrendo il proprio contributo non solo alla diffusione delle conoscenze ma anche alla loro creazione. Peraltro, i più recenti sviluppi nel campo della telefonia cellulare, con l’introduzione di smart phone progettati specificamente per la navigazione in rete, hanno di fatto moltiplicato in modo esponenziale le occasioni di accesso e di utilizzo del web per il singolo individuo, prefigurando l’affermazione del mobile social network, che amplificherà ulteriormente questo fenomeno.
Ora, occorre riflettere sulla circostanza che il progresso tecnologico è destinato, in un futuro molto prossimo, a giocare un ruolo altrettanto fondamentale anche nei processi di fruizione diretta, cioè durante la frequentazione delle sale del museo da parte dei visitatori. Come per l’oscillazione di un pendolo, le nuove tecnologie dell’informazione, che avevano fatto la loro iniziale apparizione proprio all’interno dei confini museali, affiancandosi ai supporti tradizionali di tipo cartaceo (prima attraverso postazioni e chioschi multimediali, poi attraverso le audio-guide), per poi sviluppare il loro straordinario potenziale comunicativo grazie ad internet, appaiono in altri termini destinate a giocare nuovamente un ruolo decisivo nelle sale del museo.
Questo “ritorno al passato” è in realtà basato su nuove applicazioni di una tecnologia consolidata: la Radio Frequency Identification, meglio nota come RFID [Holloway, 2006].
Al termine RFID è generalmente associata la denominazione di “etichette intelligenti”, in quanto è proprio l’etichetta posta a corredo di un qualsiasi tipo di oggetto (chiamata tag o trasponder) che acquisisce la possibilità di “dialogare”, attraverso un segnale radio che viene captato in pochi millisecondi, con un altro dispositivo, definito reader (o transceiver). Uno degli esempi più familiari a livello italiano è costituito dal Telepass, dispositivo introdotto nel settore dei trasporti già da diversi anni, che consente il passaggio di un autoveicolo attraverso la barriera autostradale senza la necessità di fermarsi al casello per il pagamento del pedaggio.
Nel settore dei beni di largo consumo [Bhattacharya, Chu, Mullen, 2008], è il settore commerciale che sta promuovendo la progressiva adozione, da parte dei produttori, della tecnologia RFID, in considerazione della molteplicità di vantaggi che essa consente – ad esempio – nel pagamento delle merci acquistate da parte di un cliente di un supermercato o di un grande magazzino: quando i prodotti sono dotati di tag, diventa infatti possibile per il cliente il self check-out, nel senso che diventa superflua l’attività del personale addetto alle casse, il quale evidentemente non è più tenuto a passare (manualmente) ciascun prodotto in prossimità dello scanner, orientandolo in modo che il relativo codice a barre venga letto. Per cui, poiché è anche possibile la lettura multipla (e contestuale) di più tag e, quindi, di più prodotti contemporaneamente, il cliente potrà limitarsi a passare con il suo carrello in prossimità di un reader, con sensibili vantaggi in termini di precisione e di tempo per lui e di costo per l’operatore commerciale.

2. Le applicazioni in ambito museale

In realtà, le tecnologie RFID si prestano ad ambiti potenziali di applicazione talmente ampi e diversificati, da essere qualificate come tecnologie general purpose (come l’elettricità, la ruota, etc.): dai passaporti al trasporto bagagli, dalla lotta alla contraffazione alla moneta elettronica, dal ticketing automatizzato al controllo degli accessi, dalla gestione dei documenti alla loro conservazione in archivi e biblioteche, dall’identificazione di animali al monitoraggio della raccolta rifiuti, dalla logistica dei trasporti a quella del magazzino. Non mancano interessanti sperimentazioni anche in ambito museale, finalizzate alla gestione documentale o dei depositi, ovvero a sfruttare quella che viene definita proximity based interaction, cioè l’interazione basata sulla prossimità fisica di un individuo rispetto ad un oggetto: mettendo a disposizione del visitatore del museo un dispositivo (un palmare ovvero, nel prossimo futuro, il proprio telefono cellulare), egli può ricevere – in modo del tutto automatizzato – flussi informativi, anche di tipo multimediale, appena si avvicina ad una delle opere esposte [Solima, 2008c]. Il visitatore, dunque, non ha più la necessità di attivare una procedura di ricerca, più o meno semplice, delle informazioni disponibili in relazione all’opera che sta osservando, in quanto il suo approssimarsi ad un’opera attiva il dialogo tra il dispositivo che sta utilizzando e l’oggetto, consentendo l’identificazione univoca dello stesso; a quel punto, si innesca il sistema di selezione automatica delle informazioni, che potranno essere già presenti nella memoria del dispositivo ovvero richieste in modalità wireless al server del museo, il quale provvederà alla veicolazione dei contenuti informativi richiesti dall’utente.
Il ricorso alle soluzioni RFID, dunque, semplifica notevolmente la gestione dei dispositivi di nuova generazione all’interno delle sale di un museo, che spesso – soprattutto per le persone più anziane o con minore familiarità nei confronti della tecnologia – non vengono utilizzate. Ancor più significative sono le implicazioni per i visitatori ipo-vedenti, i quali possono accedere in modo del tutto automatico ai contenuti di audio-guide RFID, altrimenti difficilmente utilizzabili, con grandi vantaggi in termini di qualità del processo di fruizione. A livello italiano le sperimentazioni RFID iniziano a diffondersi progressivamente. Ad esempio, la Soprintendenza per i Beni Archeologici di Ostia ha sviluppato il progetto “RILEVArcheo”, una soluzione di ricognizione inventariale che consente di conoscere, in maniera semplice e a basso costo, l’esatta consistenza ed ubicazione dei reperti del patrimonio di un museo e/o di un deposito. Grazie al fatto che le etichette intelligenti possono contenere una molteplicità di informazioni, in ogni tag associato a ciascun reperto sono state inserite tutte le indicazioni ritenute significative (dal numero d’inventario, all’assegnazione, alla provenienza, etc.), con evidenti benefici in termini di semplicità di ricerca e di accesso agli oggetti conservati. Inoltre, «il sistema software della soluzione RILEVArcheo funziona mediante il riconoscimento di macro e microaree (sedi, depositi, stanze, scaffali, etc.), codificate da tag; la piattaforma, strutturata a più livelli, consente la creazione di una “gerarchia ambientale”, che consente di identificare tutti gli oggetti in base alla loro allocazione fisica e di monitorarne agevolmente tutte le movimentazioni nel tempo all’interno dell’azienda/ente» [Shepherd, Benes, 2007, p. 302]. “Il museo si racconta” è invece un progetto di guide multimediali evolute, dotate di contenuti audio e video, realizzato in quattro musei dell’Università di Padova: il museo di Mineralogia, quello di Geologia e Paleontologia, quello di Storia della Fisica e l’Orto Botanico. Nei casi di complessi all’aperto di grandi dimensioni, è possibile abbinare alle soluzioni RFID la tecnologia GPS, come accaduto nell’ambito del progetto “Norace”, finalizzato al recupero ed alla valorizzazione dell’area archeologica di Nora, in Sardegna. Il visitatore del complesso archeologico viene infatti dotato di un dispositivo attraverso il quale è in grado di ricevere in ogni istante informazioni sulla sua posizione all’interno dell’area archeologica e sui reperti archeologici presenti nell’immediata prossimità. «Il GPS fornisce in tempo reale le coordinate che, unite alle mappe georeferenziate presenti sul palmare, consentono di tenere sotto traccia i percorsi disponibili per il visitatore a partire dalla posizione corrente mentre la tecnica RFID serve per una localizzazione più precisa di quanto possibile attualmente con il sistema GPS, ricevendo informazioni dai contesti archeologici monumentali che sono “marcati” dalle etichette RFID» [http://www.3deverywhere.com/italiano/visita-virtuale-nora.html].
In effetti, l’utile funzione way-finding all’interno di un complesso archeologico può proficuamente essere replicata anche all’interno di un contesto museale, grazie alla “triangolazione” che viene fatta del segnale RFID; ciò vuol dire che l’utente è in grado di visualizzare la propria posizione su una mappa del museo e, quindi, di ricevere indicazioni rispetto al luogo nel quale intende eventualmente recarsi, sia esso quello in cui è collocata un’opera di suo interesse, ovvero quello in cui è presente un servizio – ad esempio, il bar o il bookshop – a cui vuole accedere.
Tale funzione di orientamento di un dispositivo RFID può risultare di grande importanza, soprattutto nelle strutture museali di grandi dimensioni, nelle quali spesso si evidenzia un senso di “smarrimento” fisico, prima ancora che intellettuale, che l’eventuale presenza di segnaletica interna non sempre riesce a fugare. Pertanto, qualora l’utente abbia effettuato una preventiva selezione (eventualmente anche in rete, prima della visita al museo) delle opere da osservare ovvero abbia selezionato uno dei percorsi espositivi proposti dal personale del museo, egli avrà la possibilità di essere guidato dal dispositivo all’interno delle sale, ottimizzando i tempi di permanenza all’interno della struttura.
Nella prospettiva del museo, tale possibilità apre spazi di grande interesse anche dal punto di vista dell’analisi dei comportamenti di fruizione del visitatore, in quanto il dispositivo è naturalmente in grado di memorizzare tutte le opere (corrispondenti a tag diversi) a cui l’utente si è avvicinato, e può quindi generare in modo del tutto automatico la mappatura dei percorsi di visita dell’utenza, informazione molto preziosa per valutare – ad esempio – la qualità delle scelte di allestimento operate. In assenza di una soluzione RFID, tali notizie possono essere raccolte, invece, solo con modalità relativamente più dispendiose, attraverso la metodologia dell’indagine osservante. Peraltro, va osservato che l’utente, nel momento in cui inizia ad utilizzare il dispositivo, può essere eventualmente invitato a fornire alcune informazioni di base di tipo socio-demografico (età, genere, livello di istruzione, etc.) ovvero a selezionare un profilo pre-definito (ad esempio, utente “esperto”, utente “standard”, bambino); in entrambi i casi, la disponibilità di tali indicazioni può non solo consentire una declinazione dei contenuti informativi in funzione delle caratteristiche del destinatario ma anche costituire, successivamente, la base informativa per “profilare” il pubblico del museo, con ricadute in termini di marketing, strategico ed operativo [Solima, 2001].
Un’ulteriore applicazione che è possibile implementare è rivolta specificamente al pubblico più giovane, quello dei bambini, introducendo elementi ludici nell’interazione con il dispositivo, ad esempio a valle della visita: il progetto “Wi-Art”, sviluppato dalla Università “La Sapienza” presso il Museo delle Origini di Roma, prevede infatti la possibilità che il dispositivo generi, sulla base del “tracciato” delle opere consultate, una serie di domande, volte a valutare la qualità del processo di apprendimento innescato durante la permanenza all’interno del museo. Tale approccio, basato sul principio dell’edutainment, cioè della coniugazione di contenuti educational in un contesto ludico (entertainment), consente non solo di enfatizzare il senso di “scoperta” che un museo può evocare, contribuendo quindi a migliorare l’immagine complessiva di quel museo (e, più in generale, dei musei), ma anche di testare l’efficacia del dispositivo mobile e quindi dei processi di comunicazione posti in essere dal museo e, dunque, in ultima analisi, della sua capacità di adempiere concretamente alle finalità educative che gli sono proprie, come accennato all’inizio di questo contributo.
Infine, va considerato come tali soluzioni verranno progressivamente implementate anche all’interno dei telefoni cellulari di ultima generazione, grazie all’introduzione delle tecnologie NFC (Near Field Communication), che rappresentano un’estensione di quelle RFID [Birch 2008]. Ciò porterà, evidentemente, alla moltiplicazione degli utenti in grado di accedere attraverso il proprio dispositivo alle diverse funzionalità appena illustrate, superando quindi la necessità che ciascun museo realizzi un consistente investimento per l’acquisto di una dotazione di dispositivi mobili da noleggiare agli utenti. Peraltro, tale circostanza migliorerà fortemente il grado di familiarità degli utenti rispetto all’uso di dispositivi capaci di interagire con il contesto esterno, favorendone un uso sempre più semplificato e diffuso.

3. Conclusioni

Per i musei, quindi, si prospetta uno scenario fortemente stimolante: da un lato, l’affermazione dei social network e la corrispondente evoluzione di internet, che si configura sempre più alla stregua di una rete di persone, più che di computer; dall’altra, il progressivo diffondersi di soluzioni RFID e di tecnologie evolute di comunicazione, in grado di mettere in relazione ciascun individuo con gli oggetti che lo circondano; quindi, con quella che viene definita “internet delle cose”.
La capacità di appropriarsi di queste possibilità pone i musei davanti ad una sfida, sulla base della quale potrà giocarsi anche una parte consistente del ruolo sociale che essi avranno nel prossimo futuro. Ad essi, dunque, spetterà il compito di scegliere tra la prosecuzione di comportamenti inerziali, esaltando anacronisticamente il valore di testimonianza storica del loro immobilismo, e la volontà di mettersi in discussione, aprendosi all’esterno, ai contributi della tecnologia e degli apporti di conoscenza del proprio pubblico.

Bibliografia

Bhattacharya M., Chu C.H. and T. Mullen (2008), A Comparative Analysis of RFID Adoption in Retail and Manufacturing Sectors, in “Proceeding of 2008 IEEE International Conference on RFID”, Las Vegas (USA), 16-17 April 2008, http://www.ieeexplore.ieee.org.
Birch D.G.W. (2008), Near-field is nearly here, in “Journal of Telecommunications Management”, vol. 1.
Holloway S. (2006), RFID: An Introduction, Microsoft EMEA, http://msdn.microsoft.com/en-us/library/aa479355.aspx.
Shepherd E.J., Benes E. (2007), Enterprise Application Integration (EAI) e beni culturali: un’esperienza di gestione informatizzata assistita dalla radiofrequenza (RFId), in “Archeologia e Calcolatori”, 18.
Solima L. (2001), Marketing strategico per la gestione dei musei, in P.A. Valentino, G. Mossetto (a cura di), “Museo contro museo”, Giunti, Firenze.
Solima L. (2008a), Musei e nuove tecnologie dell’informazione: verso l’affermazione di un nuovo paradigma, in S. Cherubini (a cura di), “Scritti in onore di Giorgio Eminente”, Franco Angeli, Milano.
Solima L. (2008b), Oltre il confine: le nuove forme di produzione e diffusione dei contenuti culturali, in “Creatività e produzione culturale. Un Paese tra declino e progresso. Quinto Rapporto Annuale Federculture”, Allemandi & C., Torino.
Solima L. (2008c), Individuo, condivisione, connettività: la dimensione polisemica del pubblico della cultura, in F. De Biase (a cura di), “L’arte dello spettatore”, Franco Angeli, Milano.