Working with surfaces to create spaces: street art or landscape project?

The presence of urban voids within contemporary cities imposes to consider the importance of new interpretations/actions on the landscape. These actions have to use formal representation devices more related to community needs. Thanks to its expressiveness, art can be used as a landscape regeneration’s tool for degraded environment. Street art and community participation actions can realize surfaces projects able to change the future of indefinable urban spaces.

Introduzione
Per questo l’arte, quella vera, quella che viene dall’anima, è così importante nella nostra vita. L’arte ci consola, ci solleva, l’arte ci orienta, l’arte ci cura…”(1)

 

Tiziano Terzani, scrivendo queste parole, si riferiva all’effetto benefico (in termini di emozioni, stato d’animo e sensazioni) prodotto dall’arte sull’uomo. Le persone incorrono in malattie e necessitano di cure, che spesso servono più allo spirito che al corpo. Qualsiasi forma di espressione che sia in grado di toccare le giuste corde dell’animo umano entra di diritto nella sfera dell’arte.

 

È lecito quindi domandarsi se lo stesso principio possa essere applicato anche a quegli spazi urbani contemporanei che, senza alcun dubbio, per incuria, abbandono o, più semplicemente, disattenzione, versano oggi in uno stato drammatico. Si tratta di utilizzare l’espressione artistica come forma di cura di quelle parti del paesaggio urbano che si manifestano oggi nella loro più estrema fragilità.

 

Parliamo di fragilità ambientale, funzionale, visuale che può essere interpretata, come sostiene la paesaggista Maria Goula, come un “concetto ibrido che racchiude tanto fattori ambientali quanto fattori culturali”(2) e come espressione di una caratteristica di quel determinato paesaggio, da interpretare e tradurre in fattore positivo.

 

Occorre operare con nuove forme di interpretazione del concetto di fragilità, che deve diventare una potenzialità, un valore aggiunto per il paesaggio.

 

Luoghi del possibile
La città contemporanea, nel suo espandersi sul territorio, spesso lascia dietro di sé dei veri e propri scarti urbani, frutto di processi di dismissione e/o di abbandono o, ancora, espressione di una pianificazione parziale che, nel tentativo di controllare e organizzare lo spazio del progetto, lascia alcune zone vuote, generando residui non pensati e mal gestiti.

 

D’altronde, Zygmunt Bauman nel libro Vite di scarto sostiene che qualsiasi attività di progettazione genera inevitabilmente dei rifiuti, delle scorie: a ogni azione ordinatrice dello spazio fa da contrappunto un luogo del caos, quella zona che, restando al di fuori del progetto, diventa la dimora dell’imprevedibile e dell’imprevisto(3). Spazi di risulta e luoghi di libertà, in cui si generano autonomamente processi non controllati e che determinano nuove configurazioni spaziali degne di maggiore attenzione perché portatrici di valori spesso trascurati.

 

Questi vuoti urbani sono oggetto di un interesse sempre crescente grazie alle potenzialità di rigenerazione insite nella loro condizione di abbandono.

 

Rappresentano il Tier Paysage di Gilles Clement, “spazi indecisi, privi di funzione, (…) territorio di rifugio per la diversità”(4). Sono le zone bianche esplorate da Philippe Vasset, spazi “vergini” lasciati in bianco sulla cartografia ufficiale, quasi ad annullarne la presenza reale nel paesaggio urbano(5).
 

Ancora, Ignasi De Solà Morales definisce col termine terrain vague un vuoto abbandonato, che rappresenta un “luogo obsoleto dove certi valori permangono malgrado un abbandono completo del resto dell’attività urbana, (…) un’isola interna disabitata, improduttiva e spesso pericolosa”(6).

 

Questi luoghi emarginati necessitano d’interventi che siano in grado di sfruttare le potenzialità insite nella loro condizione di sospensione temporale: riportare a un nuovo ciclo di vita gli spazi indecisi e in attesa di nuove modalità d’utilizzo può rappresentare una strategia di rigenerazione urbana che punta sulla qualità dei paesaggi dell’ordinario.

 

La rigenerazione di questi spazi, però, deve necessariamente passare attraverso un filtro sociale. Si tratta di luoghi che, il più delle volte, oscillano tra la condizione di abbandono (che si verifica nel momento in cui la comunità smette di percepirli in quanto paesaggi)(7) e quella di insicurezza (frutto dell’appropriazione di questi spazi da parte di soggetti dediti a microcriminalità e atti vandalici).

 

Occorre quindi trovare strategie d’azione che riescano a ri-attivare questi residui urbani attraverso interventi capaci di smuovere le coscienze per la loro potenza comunicativa. I processi d’attivazione che coinvolgono questi luoghi dimenticati spesso fanno leva proprio sulla capacità dell’arte di utilizzare forme altamente espressive. Vi sono alcune esperienze che, attraverso modalità di intervento sulle superfici, riescono a trasformare un luogo in uno spazio. Michel de Certeau sostiene che vi è una grande differenza tra i due concetti: un luogo si determina per una configurazione di posizioni e implica rapporti di stabilità; uno spazio, invece, si sviluppa grazie all’incrocio di elementi mobili.

 

Insomma, per dirla alla maniera di De Certeau, uno spazio è “un luogo praticato”(8). E, poiché questi vuoti dispersi sul territorio si manifestano con una forte tendenza all’oblio, la riattivazione passa necessariamente attraverso una segnalazione, ossia una dichiarazione di esistenza. Il mezzo artistico, in questo senso, contribuisce a rendere presenti e vitali i vuoti privi di funzione esistenti nel paesaggio urbano contemporaneo.

 

Progettare con le superfici
Lavorare con le superfici significa quindi agire sui margini di questi luoghi in abbandono per innescare nuove possibilità di utilizzo e nuove modalità di relazione con i potenziali fruitori degli spazi.

 

Non a caso, nella città di Messina, nel momento in cui un collettivo decide di riappropriarsi di un luogo dimenticato per restituirlo alla cittadinanza come spazio vitale e fucina d’idee sente l’esigenza di chiamare uno dei più famosi street artists a livello internazionale per dipingere 30 metri di parete in una delle strade più squallide della città dello Stretto, nei pressi della stazione.
 

Il dipinto di Blu, realizzato su uno dei prospetti dell’ex casa del portuale (ex area dismessa oggi portata a nuova vita sotto il nome di Teatro Pinelli Occupato), produce un effetto sorprendente, cambiando completamente la fisionomia di Via Alessio Valore e trasformandola da luogo anonimo o, peggio ancora, fonte di disagio e degrado urbano, in spazio vissuto e vivibile.

 

Foto 1

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Particolare del murale di Blu all’ex Casa del Portuale, Messina. Photo by Cristina Sciarrone

 

Il dipinto, però, nonostante riesca a interpretare, con quella tecnica tutta personale dell’autore, dinamiche e storia del contesto territoriale in cui si inserisce, non è stato percepito come un intervento positivo, in grado di contribuire alla formazione di un nuovo spazio urbano. Anzi, ha prodotto scalpore e critiche, sia per le tematiche raccontate e i simboli espressi che per le modalità di realizzazione, considerate ai limiti della legalità. Eppure il murale di Blu, che nel 2011 è stato segnalato come uno dei dieci migliori street artists viventi dall’Observer, avrebbe meritato un trattamento simile a quello riservato al Tuttomondo di Keith Haring realizzato nel 1989 sulla parete esterna della chiesa di Sant’Antonio Abate a Pisa.

 

In ogni caso, complice la presenza di altri murales, l’area antistante e il cortile interno dell’ex casa del portuale sono oggi degli spazi vissuti, capaci di ospitare attività di ogni tipo (culturali e ricreative) e di attirare persone di differente età e cultura all’interno di uno spazio di cui prima si ignorava completamente l’esistenza.

 

In questo caso, quindi, l’intervento artistico è stato in grado di rendere superfici monotone appartenenti a un vuoto urbano (inteso come luogo privo di funzionalità e di rapporto con gli abitanti) elementi in grado di configurare un pieno, ossia uno spazio catalizzatore di attività e significati.

 

Vi sono esperienze diverse che dimostrano come un’azione di questo tipo possa a pieno titolo entrare nella categoria degli interventi sul paesaggio. Si tratta di processi di costruzione di una vera e propria scenografia che fanno leva sulla rappresentazione e sui suoi sistemi comunicativi piuttosto che sull’aggiunta di vere e proprie componenti materiali.

 

Il Colectivo Basurama, ad esempio, per rivitalizzare uno spazio abbandonato nel quartiere di San Cristobal de Los Angeles, posto sotto un’infrastruttura viaria, decide di agire, in prima istanza, attraverso un lavoro sulle superfici, rendendo quindi gli elementi strutturali del viadotto delle vere e proprie tele attraverso cui permettere alla comunità di riappropriarsi di questo spazio. In due fasi successive (febbraio e maggio 2013) e grazie all’aiuto dei gruppi sociali locali, Colectivo Basurama trasforma l’area sottostante il viadotto, dandole una veste del tutto nuova in cui gli abitanti possano riconoscersi.

 

I pilastri e l’intradosso del ponte vengono trattati alla stregua di uno spazio bianco da dipingere; al progetto partecipa anche un collettivo di artisti urbani dal nome Boa Mistura, che assume il compito di guidare gli abitanti nella realizzazione di questo enorme murale. Oggi lo spazio rivitalizzato si accinge a raggiungere nuove forme di utilizzo che prevedono un riconoscimento spaziale tra la comunità locale e il proprio territorio.

 

Queste esperienze dimostrano che l’espressione artistica, per assumere la forma di un vero e proprio intervento sul paesaggio, deve comunque mantenere uno stretto legame con la componente umana del territorio a cui si riferisce. D’altronde spesso questi interventi possono risultare particolarmente efficaci in contesti caratterizzati da fenomeni sociali estremi (disagio, microcriminalità, emarginazione) in quanto le operazioni di street art accompagnate da processi di riappropriazione spaziale permettono di ricostruire un legame identitario tra le comunità e il territorio.

 

Franco Zagari a tal proposito sostiene che il progetto di paesaggio, nell’interpretare le “sequenze di fenomeni” rintracciabili nel territorio, deve essere in grado di esprimere “caratteri carismatici” attraverso i quali la società locale possa sentirsi parte di quel contesto specifico(9). È un po’ quello che avviene, ad esempio, nelle azioni del Collectif Etc, un collettivo interdisciplinare di Strasburgo che dal 2009 opera proprio sugli spazi pubblici, con azioni fortemente partecipative e utilizzando l’espressività propria dell’arte come strumento adatto a instillare nuova linfa vitale nei luoghi dell’oblio.

 

Un’operazione di questo tipo, ad esempio, viene condotta dal collettivo a Saint Etienne, in 670 mq di superficie abbandonata nelle vicinanze della stazione di Chateaucreux. Lo spazio viene chiamato Place au Changement per sottolinearne la trasformazione da luogo di degrado a vera e propria piazza pubblica. Collectif Etc punta sulla rivalutazione di questo spazio attraverso un progetto di superficie. Poiché il lotto è in realtà uno spazio in attesa, in quanto in futuro sarà realizzato un immobile, l’idea è quella di rappresentare in pianta e sezione verticale lo spazio interno di un ipotetico edificio.

 

Per contribuire a modificare la concezione di questo spazio nell’immaginario collettivo della comunità, street artists di fama nazionale ma originari del luogo (Ella & Pitr) vengono coinvolti per realizzare un enorme murale in una delle pareti delimitanti il lotto. Quest’azione, coadiuvata dalla realizzazione di aree destinate alla convivialità (un piccolo giardino urbano e delle zone di relax), assume un grande valore espressivo, che si traduce in un senso di appartenenza molto forte da parte degli abitanti del quartiere verso la nuova piazza(10). La realizzazione, poi, avviene con la partecipazione della collettività e diventa un pretesto per rendere fruibile questo spazio quotidianamente, anche  grazie all’organizzazione di concerti e altre attività ricreative.

 

Quindi forme d’arte al servizio del progetto di paesaggio. Scegliere azioni di questo tipo significa puntare non tanto sulla qualità formale del progetto quanto sulla sua capacità di innescare processi di segnalazione e futura rivitalizzazione di questi luoghi. Il ruolo dell’espressione artistica in queste esperienze è quello di agire da catalizzatore spaziale, segnalando, con la sua capacità di imporsi visivamente rispetto al contesto circostante, la presenza tangibile di un luogo che necessita di diventare spazio.

 

Allo stesso tempo, questi dispositivi di intervento sul paesaggio si prestano anche ad azioni di denuncia, forme sovversive che utilizzano l’immediatezza dell’atto espressivo come strumento per segnalare un problema legato al territorio. È il caso, ad esempio dell’azione di denuncia compiuta da Dan Bergeron nel quartiere di Regent Park a Toronto. Si tratta di un quartiere di edilizia popolare sottoposto a dismissione con relativo trasferimento degli abitanti in altre parti della città.

 

L’artista decide di realizzare delle gigantografie di persone appartenenti alla comunità del quartiere da apporre sulle facciate degli edifici per sottolineare l’importanza della componente umana di Regent Park. Secondo la descrizione del progetto che ne fa l’autore i residenti diventano parte di questo paesaggio. Lo scopo è anche quello di rendere manifesto un disagio e di rispondere a un fenomeno di stigmatizzazione che ha coinvolto gli abitanti del quartiere (foto 2).

 

Foto 2

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Regent Park Portrait, Toronto. Photo by Dan Bergeron. Fonts: http://fauxreel.ca/

 

Tra gli obiettivi di Bergeron c’è anche quello di condurre i cittadini di Toronto a visitare questo quartiere in procinto di essere demolito.

 

Conclusioni
Le esperienze descritte rivelano una forza rivoluzionaria di cui la street art si fa portavoce; tale potenzialità può facilmente incontrare le esigenze di rigenerazione di contesti sociali e ambientali difficili, in cui anche un unico gesto può innescare processi di rivitalizzazione necessari per trasformare gli spazi indecisi in luoghi funzionali.

 

Daniela Colafranceschi definisce il “paesaggio come rappresentazione: estetica, emozionale, sociale; come scenografia e apparenza”(11).

 

La street art, nelle sue diverse modalità espressive, diventa uno strumento di recupero e cura di luoghi abbandonati capace di trasformarsi in rappresentazione emozionale del contesto immateriale in cui opera, proprio grazie alla sua capacità di coinvolgere la parte forse più importante del paesaggio: quella umana.

 

Note
(1) Terzani, T. (2006), La fine è il mio inizio, Milano, Longanesi
(2) Goula, M. (2007), Fragility, in Colafranceschi, D. (a cura di) (2007), Landscape + 100 words to inhabit it, Barcelona, Gustavo Gili
(3) Bauman, Z. (2005), Vite di scarto, Roma, Editori Laterza
(4) Clement, G. (2005), Manifesto del Terzo Paesaggio, Macerata, Quodlibet
(5) Vasset, P. (2007), Un livre blanc: recit avec cartes, Paris, Fayard
(6) De Solà Morales, I. (1995), “Urbanitè Intersticielle”, in Inter Art Actuel, 61, Quebec
(7) La percezione, secondo la Convenzione Europea del Paesaggio, garantisce la presa di coscienza, da parte delle popolazioni, di un territorio in quanto paesaggio. Anche il teorico del paesaggio Eugenio Turri sottolinea l’importanza dell’osservatore nella qualificazione di un paesaggio in quanto tale. Cfr Priore, R., (2009). No people, no landscape. La Convenzione Europea del Paesaggio: luci e ombre nel processo di attuazione in Italia, Milano, Franco Angeli
e Turri, E. (2004), Il paesaggio e il silenzio, Venezia, Marsilio
(8) De Certeau, M (2001), L’invenzione del quotidiano, Roma, Lavoro
(9) Priore, R., (2006). La Convenzione Europea del Paesaggio: il testo tradotto e commentato, Reggio Calabria, IRITI Editore
(10) Per un maggiore approfondimento su Collectif Etc e la sua strategia di lavoro, cfr. Collectif Etc, Disponibilità: un’attitudine come metodo di lavoro, in “Lotus International”, n. 152 e AA. VV. (2011), A + t , n. 38
(11) Colafranceschi, D. (2006), Paesaggio e progetto, in Questo è paesaggio 48 definizioni, Roma, Gruppo Mancosu Editore

 

Riferimenti bibliografici
AA. VV. (2011), A + t , n. 38
Basurama (2012), Il progetto RUS e il lavoro in rete, in Network in Progress n. 9, luglio – agosto 2012
Bauman Z. (2005), Vite di scarto, Roma, Editori Laterza
Cassatella C., Bagliani F.(2007), Paesaggi indecisi, Alinea
Clement G. (2005), Manifesto del Terzo Paesaggio, Macerata, Quodlibet
COLLECTIF ETC, “Disponibilità: un’attitudine come metodo di lavoro”, in Lotus International, n. 152
De Certeau M. (2001), L’invenzione del quotidiano, Roma, Lavoro
De Solà Morales I. (1995), “Urbanitè Intersticielle”, in Inter Art Actuel, 61, Quebec
Goula M. (2007), Fragility, in Colafranceschi, D. (a cura di) (2007), Landscape + 100 words to inhabit it, Barcelona, Gustavo Gili
Marini S. (2010), Nuove terre. Architetture e paesaggi dello scarto, Macerata, Quodlibet
Priore R., (2006), La Convenzione Europea del Paesaggio: il testo tradotto e commentato, Reggio Calabria, IRITI Editore
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Terzani  T. (2006), La fine è il mio inizio, Milano, Longanesi
Turri E. (2004), Il paesaggio e il silenzio, Venezia, Marsilio
Vasset P. (2007), Un livre blanc: recit avec cartes, Paris, Fayard