Tafterjournal n. 9 - novembre 2008

Le ragioni della tutela

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Rubrica: Editoriali

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Difesa del paesaggio, del patrimonio storico, delle attività artistico-culturali, degli standard di vivibilità urbana, degli spazi pubblici, dell’ambiente minacciato da uno sviluppo quantitativo che non considera i limiti naturali delle risorse esauribili. Difesa. Questo il bollettino quotidiano dello scontro epocale, e del tutto inedito, tra natura, cultura e sviluppo. Uno scontro che vede contrapposte due ragioni: quella che identifica lo sviluppo con la crescita continua (di merci) e quella della tutela dell’ambiente e della cultura. La prima ragione ha una forza incommensurabilmente maggiore della seconda. Lo sviluppo quantitativo soddisfa, infatti, bisogni attuali: del capitalismo, del mercato, del consumo immediato di beni e di servizi.
La tutela, invece, proietta i suoi benefici in un domani che interesserà comunque le generazioni future. E naturalmente s’immagina che non sarà la prossima e neppure la successiva – a cui ci sentiamo affettivamente legati -, ma quelle più avanti nei secoli. La sviluppo corrisponde ad interessi forti, privati e ben identificabili; la tutela coincide con interessi deboli, sociali e diffusi. Paesaggio, cultura, tradizioni, sono beni comuni: appartengono a tutti e a nessuno e hanno bisogno di un soggetto collettivo per rappresentarli. Non è un caso che la maggior parte delle risorse per la valorizzazione di questi beni si trovino nei bilanci pubblici, così come pubblici sono gli strumenti giuridici – i vincoli e i piani pubblici – per evitarne la distruzione. Nel linguaggio mediatico i sostenitori della crescita continua sono gli innovatori; i sostenitori della tutela sono i conservatori: una grossolana deformazione della realtà che, tuttavia, ha fatto proseliti.
La tutela stessa viene declinata come “conservazione”. Una visione che tende a far ricadere sui sostenitori della tutela le responsabilità della contrazione del prodotto e dell’occupazione, quindi della crisi. Al di là del fraseggio di maniera, secondo il quale nessuno oggi si professa nemico dell’ambiente e della cultura, questo è il duro scontro a cui stiamo assistendo quotidianamente. Ragioni dello sviluppo e ragioni della tutela sono, nella concreta realtà storica, fattori antitetici. La crisi finanziaria e la recessione dell’economia sono destinate ad acuire questa contrapposizione e non è difficile immaginare che, se non ci saranno cambiamenti, le conseguenze peggiori saranno a carico della tutela. Da qui bisogna partire per immaginare strategie all’altezza della sfida. La mia opinione è che buona parte delle classi dirigenti italiane non consideri cultura e natura come “risorse” per lo sviluppo, ma elementi “sovrastrutturali”, ornamenti in grado di qualificare il contesto produttivo da cui dipende la ricchezza reale, ma non certo di modificarlo o di orientarlo. Al massimo si concede ai beni culturali e paesaggistici la funzione di sostegno all’economia turistica. Secondo questo approccio, cultura e ambiente non producono ricchezza materiale, bensì la consumano. Dunque, nei momenti di crisi, si tagliano le risorse destinate a questi settori e si attenuano gli strumenti per la tutela, considerati “vincoli” dannosi allo sviluppo dell’economia. A questa visione, da tempo, se ne sta contrapponendo un’altra che vede nella tutela dell’ambiente e nella valorizzazione della cultura le condizioni preliminari affinché possa esserci sviluppo durevole.
E’ il concetto di sostenibilità, ossia il limite strutturale che la natura oppone alla crescita continua e al consumo di risorse non rinnovabili. E tra le risorse non rinnovabili ci sono anche i beni culturali e paesaggistici, i saperi diffusi, le espressioni artistiche. E’ un approccio che presuppone una profonda riconsiderazione del fine stesso dello sviluppo, all’interno del quale devono essere inglobati, strutturalmente, il concetto di “limiti naturali” e quello dell’ “appagamento di bisogni immateriali”, come la felicità e il benessere interiore degli individui. Successi, delusioni e incertezze delle esperienze culturali parlano di questa sfida, sia che si tratti della difesa dello straordinario paesaggio italiano, sia che si tratti di musei, di teatri o di fondazioni liriche alle prese con l’arduo compito di far quadrare bilanci di attività culturali e artistiche con redditività marginale. Il problema è sempre lo stesso: assumere natura e cultura come cornice per lo sviluppo e il benessere degli individui come etica e fine della produzione. Ma per questo la difesa non basta. Servono strategie coerenti e anticipatrici. Ne cito due. La prima riguarda l’assunzione delle risorse naturali, storiche e culturali, come elementi fondanti dello sviluppo, superando la separazione tra pianificazione paesaggistica e pianificazione urbanistica che caratterizza tutt’oggi il quadro legislativo italiano. Una separazione funzionale alla distruzione di risorse essenziali, se è vero che in Italia, mentre si stratificano senza tregua piani e varianti comunali per l’urbanizzazione e per il consumo smisurato di beni comuni come il paesaggio e la cultura, pressoché inesistenti – benché obbligatori almeno dal 1985 – sono i piani paesaggistici regionali che avrebbero dovuto porre un argine al fenomeno. La seconda riguarda l’innovazione e l’efficienza delle gestioni. Se è vero che natura e cultura sono beni strategici per lo sviluppo durevole, non per questo devono essere sottaciuti limiti e inefficienze insostenibili, tanto più in presenza di consistenti contributi pubblici. Non possiamo non vedere che, talvolta, più che ai servizi siamo prossimi all’assistenzialismo.
Le esperienze italiane dicono che è possibile migliorare, purché si introducano nelle gestioni cultura d’impresa, disponibilità al dialogo e all’interazione con il tessuto sociale ed economico. Pianificazione integrata del territorio e gestioni efficienti dei servizi sono due strategie, semplici, chiare e percorribili. Non richiedono risorse aggiuntive. Richiedono invece una forte volontà politica e la ferma convinzione che lo sviluppo non può prescindere dalla tutela dell’ambiente naturale e dalla valorizzazione delle culture dei popoli.


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